Giovanni Allevi alle Terme di Caracalla: il concerto come rinascita spirituale, tra dolore e bellezza
Alle Terme di Caracalla, il 20 giugno 2025, ha preso il via il tour nazionale “MM22” del maestro Giovanni Allevi, prima tappa di un ciclo di quattro concerti che lo porteranno a Taormina, Venezia e Firenze. In un luogo già carico di storia e mistero, si è celebrato un evento che è molto più di un’esibizione musicale: un rito di rinascita.
Parlare della potenza della musica è impresa ardua. Perché la musica non si lascia afferrare del tutto: ci avvolge, ci sovrasta, ci consola. Tocca corde invisibili, trascende l’ordinario. E questo concerto, forse, ne è la dimostrazione più chiara.
Giovanni Allevi, con la sua dolcezza spiazzante e la forza silenziosa di chi ha attraversato il dolore, ha offerto al pubblico un momento sospeso tra bellezza e verità. “MM22” non è solo un titolo: è una sigla che racchiude un’esperienza vissuta nel profondo – quella della malattia, della diagnosi di mieloma multiplo ricevuta nel 2022 – e trasformata in arte. Il maestro racconta di come, privato del suo amato pianoforte durante la degenza e segnato dalle terapie, abbia trovato nella composizione l’unico appiglio possibile. Le note, sospese tra fragilità e resistenza, sono diventate il ponte verso la vita.
«Nel 1750 Johann Sebastian Bach stava lavorando all’Arte della Fuga. Nel Contrappunto XIV inserì una melodia di quattro note – Sib, La, Do, Si – derivata dal suo stesso nome: B-A-C-H. Quando ero ragazzo, ne fui affascinato», racconta Allevi. «Dopo la diagnosi, superato lo sconforto, ho cercato anch’io le note del mio nome. Ne è nata una melodia di sorprendente bellezza. Ricoverato, ho composto il concerto per violoncello che inizia proprio con quella sequenza, con un sogno nel cuore: dirigerlo, se fossi sopravvissuto».
E il sogno si è realizzato. Sul palco, insieme all’Orchestra Sinfonica Italiana da lui diretta, Allevi ha donato al pubblico una musica intessuta di sacralità, attraversata da quella luce rarefatta che nasce solo da un contatto profondo con il mistero della vita. Le note sembrano ascendere e dissolversi nel cielo di Caracalla, come preghiere laiche in una liturgia collettiva.
La prima parte del concerto si apre con Giovanni Allevi solo al pianoforte. Un dialogo intimo, quasi sussurrato, con il pubblico e con sé stesso. Ogni brano è preceduto da una breve introduzione in cui il maestro racconta la genesi di quella composizione: frammenti di vita che diventano note.
C’è un brano dedicato al suo angelo custode, di quando la speranza sembrava affievolirsi ma si avvertiva una presenza invisibile che vegliava sul suo dolore. Le note, leggere e sospese, sembrano quasi venire da un altro tempo, da un’altra dimensione. Poi arriva il pezzo sul “ritorno alla vita”, una sorta di risveglio musicale, in cui si percepisce il timido riaffacciarsi della luce dopo un lungo tunnel. E ancora, un brano sul “domani che sta per nascere”: una dolce melodia, che porta con sé la tenerezza dell’attesa, la fragile meraviglia di un’alba che non è ancora luce ma è già promessa.
È impossibile non lasciarsi trasportare da queste musiche, che non gridano ma sussurrano all’anima. Ogni nota vibra come una carezza, ogni pausa è un respiro. Non serve comprendere la tecnica per sentirne la profondità: si resta in ascolto come davanti a una rivelazione.
A rendere ancora più intensa la serata, la partecipazione straordinaria di Alessandro Barbero. Con il maestro ha intavolato un dialogo appassionato sul tema dell’eresia, evocando l’etichetta che anni fa, fu attribuita ad Allevi: “eretico della musica classica”. Ma se eresia significa rompere gli schemi, scegliere strade non tracciate, attingere a un’ispirazione pura e incontaminata, allora è proprio questa la sua forza. La forza di chi osa essere diverso in un tempo che premia l’omologazione.
C’è bisogno, oggi più che mai, di “eretici buoni”, capaci di riportare l’arte al suo significato più profondo: cura, libertà, verità. In un mondo spesso sordo all’autenticità, Giovanni Allevi ci ricorda che la musica può ancora guarire, sollevare, salvare. Pochi concerti, sì, perché il corpo ha bisogno di riposo. Ma bastano queste poche tappe per generare un’eco che va ben oltre le note: è un inno alla vita, fragile e luminosa come l’acqua di una sacra sorgente.
Nella seconda parte del concerto, l’emozione si fa corale. L’Orchestra Sinfonica Italiana, guidata dallo stesso Allevi, dà vita a una selezione di brani composti anche durante la degenza ospedaliera. In quelle partiture si avverte la resistenza del corpo e tutta la tenacia dell’anima. Ogni sezione orchestrale sembra incarnare un sentimento: gli archi accarezzano, i fiati respirano speranza, le percussioni raccontano il tempo che passa lento tra le pareti di una stanza.
Lì, su quel palco immerso nella notte di Caracalla, il dolore non viene negato, ma trasfigurato. E mentre le ultime note si dissolvono nel cielo, resta la certezza che la musica – come la vita – può rinascere anche dal buio più profondo e ridare speranza.