pubblicato in data 18 Gen 2024

Se ne parla ormai da ore, anzi da giorni. Il caso è quello della signora Giovanna Pedretti, proprietaria della pizzeria ‘Le Vignole’ trovata senza vita nel Lambro a seguito di un post pubblicato su gay e disabili. Ma facciamo un passo indietro.

Qualche tempo fa, Giovanna aveva divulgato un commento di un cliente che aveva lasciato una recensione assolutamente negativa sul locale, non per la qualità del cibo bensì per la frequentazione: a suo dire, infatti, il proprio tavolo confinava con quello in cui era seduta una coppia gay e, dall’altro lato, con uno in cui si trovava un ragazzino disabile che aveva difficoltà nel portare il cibo alla bocca assumendo un comportamento poco consono alla situazione.

La titolare aveva risposto che il locale è aperto a tutti e che certe critiche erano assai sconvenienti in quanto irrispettose degli orientamenti sessuali e della disabilità. Questo, in sintesi, quanto avvenuto e che, in un primo momento aveva riscosso l’applauso del popolo web e portato la donna ad un’uscita trionfale dall’anonimato.

Col passare dei giorni e delle ore, però, la verità è iniziata ad emergere al punto che si è messa in dubbio la veridicità di quella recensione e, soprattutto, quella risposta tanto garbata e dura al tempo stesso, ha scatenato una forte curiosità sul perché di tale sceneggiata portando cronisti e telecamere davanti al locale della signora.

Domenica 14 gennaio, la titolare è stata trovata morta nel Lambro. Immediatamente sono scattate le indagini per ricostruire, da un lato, gli ultimi istanti di vita di Giovanna e confermare l’ipotesi del suicidio, dall’altro fare chiarezza sulla presunta recensione su Google contro gay e disabili all’origine del caso mediatico.

Ad aumentare il peso di tale situazione, un post della giornalista Selvaggia Lucarelli che criticava per questo scritto falso la signora Giovanna scatenando, anche in questo caso, una valanga di insulti e minacce da parte di coloro che difendevano a spada tratta la ristoratrice.

Poiché è in corso l’indagine della magistratura non entreremo ulteriormente nella vicenda ma possiamo, invece, prendere spunto per comprendere meglio come il web sia dannoso se usato superficialmente o sottovalutato.

Un tempo, quando internet e social non esistevano ancora, l’Informatica aveva una regola molto chiara: tutti potevano leggere ma solo pochi potevano scrivere. Proviamo a chiarire tale concetto.

La modalità di sola lettura di un programma era consentita a qualsiasi operatore. Sul fatto, però, di apportare modifiche attraverso scritture o istruzioni, c’era una giusta e doverosa restrizione: solo i programmatori, ovvero coloro in possesso di determinate conoscenze tecniche, a partire dai linguaggi informatici, potevano entrare nel sistema conoscendo la correlazione tra istruzione e prodotto (o risultato).

Con l’avvento di internet e soprattutto dei social tale norma è stata completamente stravolta. Chiunque, oggi, può entrare nel proprio profilo e scrivere post di qualsivoglia natura e/o pubblicare video e foto che possono essere tanto innocue/i quanto deleterie/i.

L’aver esteso a chicchessia la possibilità di scrivere facendo diventare pubblico un determinato pensiero ha generato i cosiddetti ‘leoni da tastiera’ ma anche mitomani che sfruttano nel peggiore dei modi il mondo virtuale.

Torna alla mente la celebre frase del grande caratterista Mario Brega: “‘sta mano po’ esse fero e po’ esse piuma”. Ebbene, tale battuta potremmo tranquillamente riportarla per la tastiera. Quando si scrivono post di un certo tipo, bisognerebbe sempre conoscere le conseguenze, almeno in larga scala, che tali frasi possono portare.

Mettersi davanti ad uno schermo pensando che quanto pubblicato resti all’interno di un mondo “finto” senza rischi per la vita reale è, purtroppo, indice di un’ignoranza informatica che tante, troppe persone dimostrano di avere.

E il caso di Sant’Angelo Lodigiano è un esempio.

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