pubblicato in data 12 Mar 2021

“Perché Sanremo è Sanremo!”, così recitava la celeberrima sigla del compianto Maestro Pippo Caruso che, per anni, ha introdotto le edizioni del Festival, capitanate da Pippo Baudo e da altri suoi illustri colleghi. Una frase, questa, che dovrebbe indurci a più di qualche riflessione.

Da sempre, le giornate invernali dedicate alla Canzone Italiana nel piccolo comune ligure, hanno attirato l’attenzione di giornalisti, opinionisti, fotografi e pubblico italiano e non grazie al fatto che la Musica leggera nostrana ha spesso solcato l’oceano arrivando nella terra a stelle e strisce ma anche nelle parti più estreme del globo.

E, nel corso delle 71 edizioni, siamo stati abituati a qualsiasi situazione: dal bianco e nero al colore, dal Casinò municipale al Teatro Ariston passando per le edizioni in cui il playback la faceva da padrona a quelle dove il “matto” di turno, vuoi per copione o per reali esasperazioni, riusciva a calamitare l’attenzione dei presenti in sala e di quelli incollati al teleschermo.

Ebbene, in questa edizione 2021 abbiamo assistito ad una situazione surreale che speriamo non debba ripetersi in futuro: la sala dell’Ariston completamente vuota. Eh sì, il Covid-19 non smette mai di stupirci e, in questo caso, il tormentone “su i braccioli, giù i braccioli” di Fiorello ha preso il posto della frase 2020 “su le mani, giù le mani”.

Il presentatore Amadeus ed il mattatore Rosario si sono trovati ad affrontare un pubblico virtuale e reale al tempo stesso. Davanti a loro telecamere e qualche addetto ai lavori ma nessuno spettatore. Tutti a casa a vedere, la kermesse canora e questo forse è stato uno dei motivi che ha destabilizzato anche due veterani della televisione, oggi giunti al traguardo dei sessant’anni. Come lo stesso Amadeus ha dichiarato, la speranza è che nessuno si trovi a dover condurre un programma di forte richiamo senza spettatori presenti in sala.

Ma andiamo ad analizzare questa edizione che sicuramente passerà alla Storia per molteplici motivi. Non è la prima volta che, parlando del Festival, sostengo quello che da sempre è un mio personale pensiero: Sanremo non può essere per tutti!

Ritengo che, proprio per la sua importanza, un palco del genere dovrebbe essere calcato da persone con competenze musicali e conoscenze storiche legate a chi, prima di loro, ha scritto pagine indelebili della Storia della Musica Italiana. Invece, ogni anno, si ha la sensazione che i giovani vivano questo evento come potrebbero vivere quello di una festa di paese (con tutto il dovuto rispetto per le piccole realtà comunali). Educare i ragazzi al bello, far conoscere loro nomi che hanno rappresentato la canzone italiana nel mondo e con profondo senso artistico, obbligarli a non presentarsi davanti alle telecamere come straccioni, dovrebbe essere l’ABC imposto dalle case discografiche a queste nuove generazioni che, evidentemente, non sono ancora pronte per un evento di tale spessore.

Dall’altra parte abbiamo un “eccesso” di età; quando un cantante o una cantante arriva ad avere sulle spalle decenni e decenni di carriera, l’idea di partecipare come concorrente appare una forzatura ed un’arma a doppio taglio. In quattro minuti si possono distruggere cinquanta e più anni di attività canora. Essere presenti invece come ospiti d’onore sarebbe molto più logico e giusto.

Altro punto su cui è lecito riflettere è l’uso della tecnologia durante le esibizioni. In questa edizione, l’aver puntato su giovani che sono considerati Big, attraverso logiche errate legate alle piattaforme virtuali, ha purtroppo prodotto dei risultati negativi. Si è parlato di un uso eccessivo dell’auto-tune, il programma che, tanto in fase di registrazione, quanto dal vivo, permette di correggere quelle imprecisioni della voce rispetto alla tonalità del pezzo. Se si è calanti o crescenti, il programma modifica la voce, trasformando l’imperfezione in “precisione”. Va detto che però per i miracoli ci si sta attrezzando!

Abbiamo, purtroppo, assistito a delle vere e proprie “stecche” dove nemmeno un sistema così “preciso” ha potuto porre rimedio. E proprio qui si è vista la differenza con persone che, per la loro generazione, non hanno mai cantato con questi ausili elettronici. La signora Berti e la signora Vanoni hanno, come si suol dire, “dato la pista” ai tanti sedicenti cantanti, pieni di boria che pensano di essere dei e dee del pentagramma musicale.

Un microfono radio (senza filo) scollegato dal supporto elettronico che potremmo considerare un “salva-faccia”, una semplicità tipica di chi ha esperienza da vendere ed una forma ancora tangibile di umiltà hanno dato (o almeno questa è la speranza) una vera e propria lezione di portamento ai giovani big e non.

Anche sugli orari bisognerebbe spendere qualche parola: è assurdo concludere le serate oltre l’una di notte e giungere alle 2.30 in quella finale. Non credo sia sbagliato parlare di una mancanza di rispetto per chi si esibisce in una fascia oraria in cui la maggior parte della gente è entrata nelle braccia di Morfeo. E questo, sia chiaro, vale per i concorrenti quanto per gli ospiti.

Dispiace poi che, in tante ore di spettacolo, non si sia trovato un minuto per omaggiare un Grande Artista che ci ha lasciato troppo presto: Stefano D’Orazio. Come Little Tony e Lucio Dalla (giustamente ricordati) anche il Batterista dei Pooh avrebbe dovuto essere omaggiato, tanto più che, come riportato in un amaro posto di Roby Facchinetti, il ricordo era stato promesso per l’ultima serata e garantito anche alla stampa. Sembra infatti che l’Eco di Bergamo, avendo dovuto chiudere il giornale molto prima rispetto alla fine della trasmissione, avesse dato per scontato che l’omaggio fosse stato comunque fatto e invece nulla. Il silenzio assoluto!

Quanto alla canzone che ha vinto, lasciamo che sia il tempo a sentenziare. I gusti personali di ognuno sono tanto rispettabili quanto discordanti. Vero è che, anche in questo 2021 ancora difficile e in salita…Sanremo è Sanremo!

Stefano Boeris

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