pubblicato in data 23 Lug 2021

Correva l’anno 2001 quando in un caldo giorno di luglio (il 22 per l’esattezza), moriva il Padre di quello che potremmo definire “giornalismo moderno”, Indro Montanelli.

Certo, forse molti non saranno d’accordo nell’accostare il termine “moderno” con colui che è stato testimone oculare di fatti avvenuti il secolo scorso ma, se andiamo ad analizzare meglio la vicenda, ci renderemo conto che Montanelli, nell’epoca in cui è vissuto, ha visto e “sfruttato” tutte quelle nuove invenzioni (a cominciare dalla Televisione) che hanno segnato un nuovo capitolo della nostra civiltà.

Nato a Fucecchio (FI) nel 1909, Indro Alessandro Raffaello Schizògene (questo il suo nome completo) portò sempre dentro di sé quel fare schietto e senza freni tipico dell’uomo toscano. La sua famiglia era benestante: il padre Sestilio era professore di scuola media (diventerà il più giovane preside di liceo), mentre la madre, Maddalena Dòddoli, era figlia di ricchi commercianti di cotone.

Narrano le cronache del tempo che il nome Indro, fu scelto dal padre, per far dispetto alla suocera. Fucecchio, nonostante fosse una piccolissima realtà di provincia, era divisa tra “insuesi” e in “ingiuesi”, cioè di Fucecchio di sopra e di Fucecchio di sotto. La madre di Indro era insuese mentre il padre ingiuese. Dopo un litigio, la famiglia materna ottenne di far nascere il bambino nella propria zona collinare, mentre il padre scelse volutamente un nome estraneo al ceppo materno. Indro, infatti, è la mascolinizzazione del nome della divinità induista Indra.

Ma Sestilio Montanelli non si limitò a questo: assegnò al figlio altri tre nomi, Alessandro, Raffaello e Schizogene, cioè “generatore di divisioni”.

La vita del futuro Maestro del Giornalismo fu assai complessa ed emozionante. Durante il periodo fascista, ottenne di poter svolgere il servizio militare in Eritrea, a capo di cento uomini di cui non conosceva nulla “e questo testimonia quanto già allora, il sistema delle Forze Armate fosse disordinato”, dirà poi in un’intervista all’amico e collega Enzo Biagi. Successivamente, la cattura (con una condanna a morte mai annullata ma sempre rinviata) ed il periodo di prigionia a San Vittore dove incontrerà, tra gli altri, anche il Generale Della Rovere a cui dovrà in qualche modo riconoscenza per essere rimasto in silenzio con i militari nazisti, dopo aver saputo dallo stesso Montanelli, del tentativo di evasione (riuscito) che il giornalista avrebbe intrapreso.

Passata la guerra ecco il periodo della rinascita nazionale. Montanelli tornò al Corriere della Sera ma si scontrò con un contesto assai diverso da quello che aveva lasciato per via del conflitto. Il giornale era stato commissariato ed il nuovo direttore, Mario Borsa aveva organizzato l’allontanamento di quei giornalisti ritenuti colpevoli di connivenza con il regime di Salò. A stendere l’elenco fu Mario Melloni che “siccome era un galantuomo, alle fine non epurò nessuno, o quasi. Io [Montanelli] fui uno dei pochi”.

Nel 1962 il giornalista ebbe una forte discussione con Enrico Mattei, Presidente e fondatore dell’ENI perché, a suo dire “Mattei è stato un corruttore della classe politica, senza essere egli stesso un corrotto”. Quando poi l’imprenditore perse la vita in un incidente aereo (che molti colsero come un evento doloso), il nome di Montanelli apparve su un libro (di cui ignoriamo il titolo) in quanto una delle prove dell’uccisione di Mattei, era stata identificata nel fatto che il giornalista lo aveva attaccato poco tempo prima. Ovviamente si trattava di fantasie belle e buone.

Andato via dal Corriere per contrasti con la nuova linea editoriale, eccolo alla direzione de “Il Giornale”, un quotidiano indipendente che, come scrisse “La Repubblica” a mo’ di sfottò, viveva di collette. La replica del Direttore non tardò ad arrivare: “E’ vero, noi viviamo di collette ed io ne sono fiero perché le collette mi rendono libero!”.

Fu durante la direzione di questo quotidiano che si verificarono eventi destinati a rimanere impressi nella memoria di tutti noi: la campagna a votare per la Democrazia Cristiana, alla vigilia delle elezioni del 1976 con il celebre slogan “turiamoci il naso e votiamo DC”.

Ancora, l’attentato nel 1977 da parte delle BR in cui Montanelli ricevette dei colpi di proiettile alle gambe. Proprio in questa occasione, qualcuno della borghesia milanese brindò e questo, naturalmente, suscitò amarezza e rabbia nel giornalista toscano. “Il fatto di essere stato ferito fa parte degli incerti del mestiere, ma che in un salotto della borghesia milanese si brindi, questo io lo trovo di cattivo gusto”, dirà in un incontro televisivo al collega Giorgio Bocca, incredulo (volente o nolente) di tale episodio.

Successivamente ecco l’incontro con un allora giovane Silvio Berlusconi, destinato a diventare il proprietario de “Il Giornale”. “La gente forse non ci crede quando dico che Silvio Berlusconi è il miglior padrone che potessi desiderare di avere. Sa perché? Perché ha capito immediatamente che non poteva darmi ordini. E non l’ha fatto. Di lui posso dire che è un misto di genialità e di coraggio, con un pizzico di “bausceria milanese”. Uno che scommette su cose sulle quali tu non punteresti una lira” sono le parole che il Maestro riservò all’Imprenditore milanese come anche la celebre frase “Tu sei il proprietario, io il padrone”.

Il rapporto idilliaco si interruppe con l’entrata in politica del Cavaliere. Montanelli, contrario a tale progetto, decise di dare le dimissioni poiché non riteneva opportuno seguire il suo editore in questa avventura.

Nacque così “La Voce” che però ebbe vita breve. Essere direttore e al tempo stesso imprenditore non è cosa facile e non è detto che un ruolo possa generare automaticamente capacità nell’altro.

Negli ultimi anni il Giornalista toscano tornò al suo “primo amore”, il “Corriere della Sera”, naturalmente cambiato dopo tanti e tanti decenni.

Le sue interviste, i suoi interventi televisivi restano nella memoria di tutti noi e soprattutto di noi giornalisti.

Il 22 luglio 2001, Montanelli morì novantaduenne a Milano nella clinica La Madonnina a causa di complicazioni seguite ad un’infezione delle vie urinarie.

Il giorno seguente il direttore del “Corriere della Sera”, Ferruccio de Bortoli, pubblicò in prima pagina il necrologio del Collega, scritto da lui stesso pochi giorni prima di morire:

“Mercoledì 18 luglio 2001, ore 1:40 del mattino. Giunto al termine della sua lunga e tormentata esistenza – Indro Montanelli – giornalista – Fucecchio 1909, Milano 2001 – prende congedo dai suoi lettori ringraziandoli dell’affetto e della fedeltà con cui lo hanno seguito. Le sue cremate ceneri siano raccolte in un’urna fissata alla base, ma non murata, sopra il loculo di sua madre Maddalena nella modesta cappella di Fucecchio. Non sono gradite né cerimonie religiose, né commemorazioni civili”

Stefano Boeris

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